Tassazione multinazionali: tremano i santuari Ue dell'elusione fiscale e parte la corsa al ribasso su aliquote e imponibili

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Aprile 2021

Un’aliquota del 21 per cento uguale per tutti e un imponibile sul fatturato calcolato su base mondiale. La proposta radicale americana, che cerca di sbloccare la situazione di stallo nei  negoziati globali di lunga durata sulla tassazione delle multinazionali, ospitati dal club dei paesi dell’Ocse, è arrivata sugli stagnanti colloqui di Parigi come una sferzata sparigliando cartelli e protezioni inconfessabili. Nessuno se lo aspettava, ma tra i tanti sconvolgimenti portati dal Covid 19 va registrata anche un’inversione a U della nuova amministrazione Biden riguardo la politica fiscale seguita da Donald Trump a favore dei giganti tecnologici statunitensi e delle altre grandi multinazionali. I paradisi fiscali europei si preparano a vendere cara la pelle, dopo l’attacco alle spalle arrivato da oltre oceano proprio dal paese leader della finanza mondiale, che fino alla settimana scorsa era considerato il campione degli interessi dei grandi gruppi multinazionali. Le nazioni europee che offrono una bassa tassazione alle grandi società hanno fatto buon viso a cattivo gioco accettando in linea di principio il riequilibrio delle imposte societarie, ma hanno già segnalato che Washington può aspettarsi lotta dura su gran parte dei dettagli.

Certo sarebbe un duro colpo per Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo, Malta e Cipro, i piccoli paradisi fiscali dell’Unione europea dove hanno le loro basi le più grandi società del mondo e che hanno difeso ferocemente finora il loro diritto di ribassare le imposte sulle imprese residenti anche solo formalmente a loro piacimento, facendo concorrenza fiscale a danno prima di tutto dei partner europei.  

. “Pochi criticheranno i piani per sradicare l'elusione fiscale, ma è solo quando si inizia a parlare che alcuni paesi vanno nella direzione opposta", avverte Tove Maria Ryding, responsabile delle politiche presso la Rete europea sul debito e lo sviluppo a Bruxelles. 

Qualsiasi nuova tassa a livello dell'Ue richiede l'accordo unanime di tutti i 27 Stati membri, compresi i governi che finora hanno protetto i loro diritti fiscali. Nel 2018 un'alleanza di paesi più piccoli ha bloccato i colloqui internazionali presso l’Ocse a favore di una tassa tecnologica europea. All'inizio di quest'anno paesi tra cui Irlanda, Malta e Lussemburgo si sono opposti alla bozza dell'Ue per costringere le multinazionali con più di 750 milioni di euro di fatturato annuo a riferire quanti profitti hanno realizzato e le tasse pagate in tutti gli Stati membri dell'Ue. La Commissione europea ha subito un'imbarazzante sconfitta lo scorso anno quando la sua storica decisione di costringere Apple a rimborsare 14,3 miliardi di euro di tasse non pagate al governo irlandese è stata annullata dalla Corte di giustizia dell'Ue. Anche se la Commissione annuncia appello contro la decisione, la sentenza mostra l’inadeguatezza del diritto dell’Unione a contrastare il gigantesco fenomeno dell’elusione fiscale che sta sottraendo centinaia di miliardi di imposte ai bilanci anti Covid nei suoi stessi confini.

L'accordo in corso di negoziazione attraverso l'Ocse coprirà 135 paesi e tutte le più grandi società del mondo, togliendo il compito dalle mani di Bruxelles. "Le misure dell'Ocse significano che l'Unione europea non avrà bisogno della propria tassa digitale", osserva un funzionario Ue. Paolo Gentiloni, commissario europeo per l'economia, ha accolto con favore l'iniziativa degli Stati Uniti e ha affermato che una nuova serie di regole globali per la tassazione dei giganti digitali è la "soluzione migliore".  La seconda “è avere una proposta europea, ma la cosa più difficile è attuare soluzioni nazionali che è ciò che sta accadendo ora". Tuttavia Gentiloni ha notato che i piani degli Stati Uniti "non erano esattamente gli stessi" di quelli sviluppati in Europa e che "i criteri saranno cruciali, ma penso che possiamo trovare soluzioni comuni molto forti".

Un eventuale accordo non potrà mai essere concretamente applicato senza la collaborazione delle stesse multinazionali e l’adesione di tutti gli Stati. Per ottenerle, la pressione diplomatica degli Stati Uniti e la conseguente disponibilità a fissare inevitabili contropartite, saranno determinanti. La battaglia più grande sarà probabilmente su che livello stabilire il tasso minimo globale. Gli Stati Uniti propongono un'imposta sulle società minima effettiva del 21%. I Paesi Bassi e il Lussemburgo hanno tassi nominali superiori, mentre l'aliquota dell'imposta sulle società irlandese è del 12,5%. Il ministero delle Finanze irlandese ha dichiarato, interpellato dalla corrispondente del Financial Times, che in linea di principio non era ancora stata concordata un’aliquota. "I piccoli paesi, come l'Irlanda, devono essere in grado di utilizzare la politica fiscale come leva legittima per compensare i vantaggi di scala, risorse e ubicazione di cui godono i paesi più grandi - avvertono a Dublino - allo stesso tempo, accettiamo la necessità di limiti per garantire che qualsiasi concorrenza sia equa e sostenibile".

Feargal O'Rourke, managing partner di PwC in Irlanda, è convinto che l'Irlanda e paesi come l'Ungheria, che ha un tasso del 9%, resisteranno a un minimo di tassazione fissato su piano internazionale. "L'Irlanda sta dicendo che stiamo andando a combattere dal nostro angolo, come ci si aspetterebbe", dice ancora O'Rourke. Tuttavia alla proposta degli Stati Uniti "non c'è stato panico" per la potenziale erosione del vantaggio fiscale dell'Irlanda. Il governo di Dublino ritiene che la forza lavoro internazionale altamente qualificata del paese e le relazioni di lunga data con le società multinazionali lo renderanno competitivo anche se la sua posizione fiscale cambia. “Le tasse ora sono solo uno dei tanti punti di attrazione che l'Irlanda ha per le multinazionali, se questo fosse accaduto 20 anni fa, sarebbe stato più preoccupante " si ripete dai ministeri economici. Ma anche nel resto dei paesi europei una tassa piatta sulle multinazionali, addirittura oltre l’asticella del 20%, potrebbe incontrare resistenze. Stati membri come Francia e Italia volevano imporre da tempo tasse internazionali capaci di intercettare i profitti dei giganti della tecnologia, ma la Germania potrebbe cercare di proteggere le sue potenti case automobilistiche, che non erano coinvolte dalle proposte iniziali dell'Ocse e verrebbero colpite invece dal piano statunitense. Anche la definizione di ciò su cui viene riscossa l'imposta potrebbe essere contestata, afferma Ryding: "Un modo per annacquare la proposta di imposta minima sarebbe spingere affinché le regole si applichino solo ai profitti che non sono conformi alle misure Ocse esistenti in materia di spostamento dei profitti".

In definitiva, per gli esperti della Rete europea sul debito e lo sviluppo, i colloqui dell'Ocse dovranno raggiungere un ampio consenso, lasciando spazio alle coalizioni di paesi per unirsi e annacquare elementi delle proposte statunitensi. Nonostante il desiderio della maggior parte dei governi di generare in questo momento più entrate fiscali per sostenere le misure anti-Covid, la storia dei recenti negoziati fiscali internazionali suggerisce che i colloqui vireranno verso un accordo con il minimo comune denominatore. "Nell'Ue e nell'Ocse – scuote la testa Ryding - non abbiamo coalizioni di paesi progressisti che chiedono di più, ma alleanze di paradisi fiscali che vogliono di meno".

 

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