Di Alfredo Reichlin.
Salvatore Biasco mi ha chiesto di esprimere un punto di vista sul significato di questo incontro. Cercherò di dire qualcosa brevemente. Stato, Politica, potere. Sono le parole. Ma esse non hanno più il vecchio significato. Io parto da qui per chiedermi se e in quale misura stiamo assistendo (insieme all’avvento di tanti fatti inediti) alla nascita di una nuova soggettività. E mi chiedo se su di essa possa far leva un riformismo politico e istituzionale che non sia solo un disegno astratto. C’è una nuova umanità che si sta formando (non solo in Italia) e tutto il vecchio rapporto tra la politica la società e le persone nei fatti viene già ridefinito. Il rischio di nuove svolte autoritarie esiste ma se vogliamo combatterlo dobbiamo sapere che non può reggere all’infinito questo vuoto tra una base anonima di individui telespettatori e il vertice del potere. Non è più accettabile questo disconoscimento dei soggetti sociali ridotti a mondo subalterno, senza identità, alla mercè di un potere sempre più oligarchico. Se getto uno sguardo sul ventennio che abbiamo alle spalle questa è la cosa che più mi colpisce: una sinistra senza popolo, il suo modo di governare sempre più dall’alto (parlo anche di noi).
Una chiacchiera infinita sui marchingegni elettorali e l’assenza di una corposa analisi politico sociale. La politica ridotta al gioco del potere. Sto semplificando. Ma al fondo se voglio capire certe confitte non c’è bisogno di fare tutto l’elenco degli errori. Basta prendere atto che da molti anni è in atto una violenta torsione della vita politica, con il passaggio dalla logica della rappresentanza a quella della cosidetta governabilità. La politica, si riduce all’osso, alle primarie. E’ così che si è aperto un fossato tra la sfera sociale e quella politica, tra
il potere e la rappresentanza. Verso quale riforma costituzionale andiamo se non si rimette in moto qualcosa di profondo, di un processo democratico partecipato, capace di rimettere in gioco una rete di forze, di soggetti, di culture, in un lavoro comune che abbia al centro l’eguaglianza dei diritti sociali e civili? Se ragione così, io non credo affatto che quello della sinistra è un mondo di reduci
destinati all’isolamento e all’impotenza. Vedo invece un grande bisogno di democrazia e di partecipazione come ci confermano le appassionate rievocazioni di Enrico Berlinguer in tutta Italia. Esse non esprimono solo rimpianto ma una nuova domanda politica e di senso.
Il problema difficile è quindi come ci posizioniamo nel nuovo scenario, come viviamo questa fase non come reduci di un tempo ormai tramontato, ma prendendo sul serio la sfida del cambiamento, a cominciare da noi stessi e dal nostro modo di pensare e di agire. Non ci dimentichiamo che alla base di tutto c’è un grande fatto materiale. Esso è la crisi ormai irreversibile del modello di sviluppo di questi anni. Nessuno può sapere quanto tempo un sistema così complesso di promesse di pagamento (quale è il sistema finanziario) possa reggere senza un ordine politico che ne garantisca la sostenibilità in ultima istanza. Dopotutto è per questa ragione che l’Europa, con una moneta unica ma priva di un sistema politico sovrano, resta nell’occhio del ciclone. La questione della sovranità è il grande tema che percorre il nostro dibattito nella consapevolezza dei processi di internazionalizzazione. Diventa quindi ineludibile la domanda se è ancora possibile pensare che la espansione finanziaria possa costituire la via principale dell’accumulazione capitalistica.
Se si risponde di no, come credo che si debba fare, è inevitabile che la grande politica debba tornare a interrogarsi sulla logica del sistema produttivo nel senso di pensare a nuove forme di “accumulazione sociale e culturale”, intendendo con tale espressione la cura e la valorizzazione di quel patrimonio di intelligenza e creatività che è il nuovo valore di cui tutte le società sono alla ricerca.Non sto a ripetere che in un mondo sempre più integrato sul piano tecnico economico, a fare la differenza sarà il differenziale che deriva dalla qualità delle persone, dei luoghi e delle istituzioni. Sottolineo solo come evidenzia il fatto che quella piccola minoranza che sono ormai gli europei avrà un futuro in un mondo di miliardi di persone solo se l’economia tornerà a legarsi alla società, sel ’accumulazione dipenderà sempre più dalla capacità di produrre valore sociale, se saremo capaci di creare nuovi strumenti di partecipazione democratica in contesti a crescente complessità umana;se sapremo valorizzare lo spirito di iniziativa e le capacità individuali, oltre che la bellezza dei luoghi. Spero che Matteo Renzi si muoverà in questa direzione. So però che da qui c’è uno spazio enorme politico e culturale per una nuova sinistra. Tutto il mio assillo è uscire da polemiche sterili e definire un nuovo orizzonte storico, in cui le nuove generazioni possano tornare a pensare il futuro e a sperare in un cambiamento possibile.
Credo sia il compito più urgente perché è chiaro ormai che la crisi sta intaccando il tessuto civile e culturale della nazione. E’ questo il problema cruciale. E’ la necessità di creare una nuova soggettività politica, di ricreare un rapporto tra popolo e nazione. Ridare senso e ideali alla politica. Questo problema, nel Novecento, fu affrontato con la costruzione dei grandi partiti. E’ per mezzo di essi che fu possibile coniugare popolo e governo, partecipazione e decisione politica. Fu un fatto grandissimo ma irripetibile in quelle forme. In quali forme è pensabile adesso? Questo è il tema ben più che organizzativo che merita davvero una riflessione seria. Ma allora bisogna essere molto chiari. Che cosa andiamo cercando? Un ennesimo sgabello per le ambizioni di un leader? Oppure noi cerchiamo come io penso la risposta all’interrogativo di che cosa ci sia dopo la vecchia democrazia dei partiti e dopo la crisi della sovranità nazionale quale si era affermata in Europa con lo Stato Nazione? Il dilemma è chiaro. Ci rassegniamo all’idea che ormai c’è solo una forma di governo più o meno oligarchica e nei fatti schiacciata dalle logiche di un mercato per cui i diritti sono valutabili solo in quanto costi?
E’ una discussione difficile ma inevitabile dal momento che a ben vedere la grande difficoltà che ci assilla non sta tanto nel mettere in campo un ceto politico più efficiente e onesto quanto nella necessità di dotare le persone di nuove armi politiche e sociale capaci di contrastare la potenza delle oligarchie con poteri meno fragili di ciò che resta dei partiti, dei sindacati, della famiglia, dell’associazionismo, della sovranità degli Stati nazionali (il deserto che ci sta davanti). E’ una domanda difficile che però non può essere evitata. Dove sta la “potenza” democratica, cioè il potere degli uomini di essere liberi e di governare la propria vita in una società molecolare dove non ci sono più i vecchi blocchi sociali? Questo è al fondo il problema della politica moderna.
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