L’Intervista: Visco, "Senza interventi rapidi il crollo del Pil dell'Italia nel 2020 sarà a doppia cifra"

Aprile 2020

“L’euro fu introdotto in un clima politico ed economico molto diverso. Tutti erano convinti (e concordi) che si trattasse solo di un primo passo, e che poi si sarebbe proceduto ad emettere eurobonds per investimenti comuni come prevedeva il piano Delors”.  A dichiararlo all’AntiDiplomatico è Vincenzo Visco, ex ministro delle finanze dal 1996 al 2000 (durante il primo governo Prodi e poi i due esecutivi D’Alema), in seguito ministro del Tesoro dal 2000 al 2001 (governo Amato), negli anni cioè in cui la moneta unica venne realizzata. Lo abbiamo voluto ascoltare in una fase in cui quella impalcatura sta mostrando tutti i suoi limiti strutturali e i difetti appaiono ormai evidenti persino a europeisti insospettabili. “Senza una copertura europea la situazione italiana diventa molto rischiosa,” sostiene tuttavia l’ex ministro Visco, che resta scettico sull'utilizzo del Meccanismo Europea di Stabilità oggi: "Il Mes è uno strumento nato per gestire eventuali crisi finanziarie di singoli Stati o banche, e come tale non è adatto ad essere utilizzato nella situazione attuale. Si dice che il Mes è l’unico istituto in gradi operare fin da subito, ma in questo caso le risorse dovrebbero poter essere utilizzate senza alcuna condizionalità, salvo quella di destinare i fondi all’emergenza coronavirus."
 
 
L’Intervista all’AntiDiplomatico

 
Professore, l’emergenza sanitaria si sta presto intrecciando con una drammatica crisi economica. Quali previsioni si sente di fare in termini di crollo del Pil per il nostro paese per il 2020 e, più in generale, concorda con quegli economisti che paventano scenari peggiori degli anni ’30?
 
Nel 2009 il Pil dell’eurozona cadde del 4,5%, e in Germania e in Italia del 5,5%. Senza interventi rapidi e coordinati la caduta di quest’anno potrà essere a doppia cifra.

 

La crisi attuale originata dalla propagazione del coronavirus sta facendo ricredere anche i difensori più ortodossi dell'austerità. Nel momento della ricostruzione dopo l'emergenza sanitaria quali saranno le teorie economiche prevalenti? Più in generale, nazionalizzazioni, programmazione e economia mista keynesiana resteranno tabù o vivremo un cambio di paradigma?
 
I difensori dell’austerità appartengono a due diverse scuole di pensiero: vi sono i seguaci dell’ordoliberismo per i quali l’austerità è un’ideologia. Secondo questa scuola l’economia deve essere gestita con prudenza: moderazione salariale, bilanci in pareggio, forte preoccupazione per l’inflazione. Sempre e comunque. I liberisti invece fanno affidamento sul buon funzionamento del mercato, ritengono che il ruolo dello Stato vada circoscritto e limitato, ma in caso di necessità non esitano a salvare le banche e le imprese, e a promuovere enormi programmi di spesa pubblica e di monetizzazione del debito pubblico. Questo spiega quelli che appaiono cambi di linea: l’austerità va bene in tempi normali quando si tratta di contenere l’intervento pubblico, ma viene abbandonata senza problemi in caso di crisi. Quanto ai Keynesiani essi ritengono che la gestione dell’economia di mercato richieda un controllo e una gestione continua da parte dei Governi (in modo diretto o indiretto), che politiche monetarie e fiscali devono essere coordinate, che la banca centrale debba porsi, oltre all’obiettivo di controllare l’inflazione, anche quello di garantire la massima occupazione possibile. Nessun keynesiano serio ritiene, però, che i disavanzi e i debiti pubblici e l’inflazione non siano problemi da gestire con attenzione. Per il futuro mi sembra che con la crisi attuale il liberismo abbia subito un ulteriore colpo, ma questo era già accaduto con la crisi di 10 anni fa, senza grandi conseguenze pratiche. L’ordoliberismo comunque, essendo un’ideologia, è più difficile da contrastare.
 

Come giudica le azioni intraprese dal governo italiano fino a questo momento?
 
Dati i vincoli esistenti, e le nostre precarie condizioni economiche e di bilancio, il Governo italiano sta facendo quello che andrebbe fatto, nonostante un’opposizione irresponsabile. La gestione dell’emergenza sanitaria, salvo i contrasti tra Governo centrale e Regioni (che ha provocato, per esempio, la mancata chiusura immediata dei Comuni del bresciano e del bergamasco con le tragiche conseguenze cui abbiamo assistito) mi pare positiva.
 

La Banca Centrale Europea lancia il nuovo originalissimo PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme — Programma d’acquisti per l’emergenza pandemica), un nuovo Quantitative Easing da 750 miliardi per il 2020, riservandosi la facoltà di allungare la scadenza e di aumentarne l’importo, per far fronte alla nuova “crisi da coronavirus”. Come giudica l’operato della Banca centrale europeo finora?
 
La BCE, nonostante la ormai famosa gaffe della Lagarde, è l’unica istituzione europea che, grazie alla sua indipendenza, si è mossa tempestivamente e in modo adeguato andando ben oltre il QE di Draghi, e sembra per il momento in grado di difendere la moneta unica e di comprimere gli spreads.
 
 
La proposta di un assegno europeo finanziato direttamente dalla Bce per ogni europeo in uno dei paesi della zona euro al di sotto di un certo reddito, formulata dal Prof. Pino Arlacchi sul Fatto Quotidiano, la reputa percorribile?
 
L’helicopter money sarebbe ovviamente la soluzione migliore in questo momento. Ma lo statuto attuale della BCE non le consente di intervenire direttamente, perciò sarebbe importante che questi vincoli venissero superati, o per lo meno sospesi per far fronte alla crisi. Non è importante a chi viene destinata la nuova creazione di moneta, alle famiglie, alle imprese, ai Governi, ma che essa sia possibile.
 

Il compromesso che propongono Francia e Germania in vista dell'Ecofin di martedì prevederebbe l’azionamento del cosiddetto Meccanismo europeo di stabilità. Lo reputa utile per l’Italia e con quali conseguenze?
 
Il Mes è uno strumento nato per gestire eventuali crisi finanziarie di singoli Stati o banche, e come tale non è adatto ad essere utilizzato nella situazione attuale. Si dice che il Mes è l’unico istituto in gradi operare fin da subito, ma in questo caso le risorse dovrebbero poter essere utilizzate senza alcuna condizionalità, salvo quella di destinare i fondi all’emergenza coronavirus.
 

Olivier Blanchard, ex capo economista dell'FMI ha dichiarato: "se siamo in guerra allora bisogna fare deficit pubblici da guerra, ossia a doppia cifra". Quale sarebbe secondo lei il tasso di deficit che l'Italia dovrebbe avere per il 2020 e che cosa accadrebbe all’Italia restando nelle regole della moneta unica con un rapporto debito Pil che schizzerebbe ulteriormente?
 
Blanchard è un keynesiano liberale, la sua posizione è corretta se si riferisce all’Europa nel suo complesso. Per l’Italia la situazione è più difficile dato che ogni anno deve già ricorrere al mercato per finanziare 3-400 miliardi di debiti in scadenza cui si aggiungerebbero quelli necessari a finanziare gli interventi di emergenza. Senza una copertura europea la situazione italiana diventa molto rischiosa.
 

Analizzando le ripercussioni sull'economia reale, l'impatto sul tessuto economico italiano potrebbe essere devastante. Come si tutela il nostro patrimonio industriale già altamente danneggiato negli ultimi 25 anni dalla speculazione possibile delle multinazionali?
 
Tutti i Governi europei stanno predisponendo misure per impedire che ciò avvenga. La commissione europea ha anche modificato le regole sugli aiuti di stato per consentire eventuali nazionalizzazioni. Ma le nostre risorse non ci consento di fare granché neanche in questo campo.

 
Professore, veniamo un momento alla costruzione dell’euro che Lei ha vissuto da protagonista nei momenti decisivi. Si aspettava l’atteggiamento che Germania, Olanda e in generale i paesi del Nord Europa hanno tenuto e stanno tenendo negli anni verso il sud Europa?
 
L’euro fu introdotto in un clima politico ed economico molto diverso. Tutti erano convinti (e concordi) che si trattasse solo di un primo passo, e che poi si sarebbe proceduto ad emettere eurobonds per investimenti comuni come prevedeva il piano Delors, a coordinare le politiche di bilancio realizzando anche un bilancio federale, ecc... Poi cambiarono le maggioranze politiche. Alcuni Paesi, come l’Italia, non rispettarono le regole di convergenza, altri non controllarono l’inflazione interna, ecc... La Germania dal canto suo, con la cancelleria Shroeder operò una svolta nazionalista per approfittare della moneta unica e rilanciare le sue esportazioni. In sostanza nessuno è innocente.
 
Questa crisi ha portato molti, anche insospettati, a ritenere che se l'egoismo dovesse prevalere anche questa volta, l'Europa unita potrebbe non resistere. Già oggi quasi due italiani su tre ritengono di non avere avuto nessun aiuto nel momento di maggiore bisogno dalle istituzioni europee. Qual è secondo lei la linea rossa per cui poi le autorità italiane possono veramente immaginare un piano B?
 
L’egoismo dipende non solo da antichi pregiudizi, ma anche dalla scarsa attendibilità di alcuni Paesi. Con i governi Berlusconi la credibilità dell’Italia è andata sottozero, e non è aumentata granché dopo. Oggi l’Italia viene considerata dai Paesi del nord (a torto o a ragione) il problema principale della zona euro. Comunque, non esiste un piano B. Fuori dall’Europa per noi sarebbe peggio, molto peggio. Esiste però il rischio di essere costretti a una ristrutturazione del nostro debito, vale a dire la ridefinizione della sua durata e/o ammontare, oltre che a politiche di austerità ulteriori.
 
Nove paesi dell’euro-zona, compresa l’Italia, avevano chiesto l’introduzione dei cosiddetti euro-bond per una mutualizzazione centralizzata dei debiti ricevendo il no chiaro della Germania. E se quei paesi decidessero di farli comunque tra loro dando vita a un euro a due velocità?
 
Un’ipotesi di questo tipo prefigurerebbe agli occhi dei mercati l’inizio di un processo di disgregazione della zona euro. Non credo che sarebbe realistico né di grande utilità. Il garante dell’unità dell’Europa non può che essere la Germania. In teoria diverso sarebbe il caso di una separazione consensuale, ma in questo caso dove andrebbe la Francia?

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